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al testo di Claudio Di Paola
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Verso Roma (apollineo e dionisiaco)
Non puntare la tua prua di legno verso la città e le cime non attraccare sugli eterni marciapiedi di pietra bianca, il tuo rostro ha ancora gli spigoli da smussare su di me.
Puoi andare scalza dentro la mia stiva segreta se vuoi e sentire lo scricchiolio allegro del legno di noce nostrana, la tua polena non mostra ancora i seni marci di infinite rotte.
Non correre ti prego non aver fretta di smettere il viaggio, abbiamo ancora le stive piene di carne secca e rhum del ‘63 e il nostro sestante scintilla di ottone e mete.
I ponti sono stati lustrati da sapienti mozzi e il cielo è sempre lì coperto di puntini bianchi e pigri come il pigmento di un’ ala di farfalla, Roma … Roma vedo ancora lontana.
L’impero non è ancora caduto perciò l’Urbe rimane un impercettibile segno.
Non aver paura degli Dei sono soltanto gocce, ciocche, giochi, pesi insignificanti, logori silfi marini saranno e sulle sartie superba salta e dispiega le tue vele per sfidare il vento.
Io salirò allora sulla coffa più alta dell’albero maestro per urlarti felice e primo che, c’è solo cielo e mare all’orizzonte, siamo lo scintillio dei flutti di un mare nascosto.
La felicità di non avere un solo gabbiano che faccia da spia per la crosta di una terra già solcata di miseri ricordi e pene, Roma … Roma vedo ancora lontana.
Conoscerti senza misure severe perciò amarti di irraggiungibili segni al cuore.
Dall’amore alla vita il passaggio è fuso, saldato, confuso, dal particolare si va all’universale, chi parteggia, chi si universalizza, a chi dei due il ruolo madre senza prima aver guadato un fiume di viaggio?
Claudio Di Paola
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